L’ansia è come una sedia a dondolo:
sei sempre in movimento, ma non avanzi di un passo.
Jodi Picoult
Il concetto di “ansia da prestazione” viene generalmente ricondotto a problematiche di natura sessuale, ma riguarda tutti i comportamenti bloccati dall’ansia o dalla paura di fallire. Vi può essere ansia da prestazione in tutte le situazioni nelle quali è prevista una performance, si deve compiere una scelta importante o ci si sente messi alla prova.
I rapporti sessuali, la necessità di parlare o di esibirsi in pubblico, affrontare un esame o un colloquio di lavoro sono solo alcuni degli ambiti in cui è possibile sperimentare veri e propri “blocchi” dovuti all’ansia.
L’approccio strategico permette di affrontare l’ansia da prestazione e il blocco della performance attraverso tecniche mirate e concrete che permettono di ridurre l’ansia e di superare il blocco.
A volte è possibile individuare una causa scatenante, ad esempio l’esperienza di una reale défaillance, vissuta in prima persona o della quale siamo stati testimoni, che abbiamo paura possa ripetersi (come accade allo studente che va ad osservare gli esami della sessione precedente a quella a cui è iscritto e assiste alla bocciatura di un collega solitamente capace e preparato, che in quell’occasione fa scena muta: “e se capitasse anche a me?”, si chiede mentre decide di rimandare l’esame…).
Altre volte non si riesce a trovare una spiegazione razionale, ci si blocca e basta, di punto in bianco, senza capirne il motivo e, soprattutto, senza riuscire a trovare una via di uscita. Il blocco può impedire di riuscire a fare qualcosa che si è sempre fatto con facilità, ma può anche inibire la persona al punto di renderla incapace di provare a sperimentarsi in una nuova esperienza o di prendere una decisione.
Anche il perfezionismo gioca un ruolo nel blocco della performance: si cerca di essere impeccabili e vengono posti standard personali elevatissimi e irragionevoli che conducono all’esito paradossale di non riuscire mai a raggiungere l’obiettivo. È così che si perde fiducia in sé e nelle proprie capacità, ci si sente inadeguati e si sperimenta un forte senso di fallimento.
“Un millepiedi aveva sempre camminato senza alcun problema per le sue terre. Un bel giorno passò di li una formica curiosa e chiese al millepiedi come potesse riuscire a camminare così bene senza cadere: con tanti piedi per lei era un miracolo che non inciampasse in qualche ostacolo. Molto turbato da questa idea, il millepiedi cominciò a prestare attenzione a dove metteva ogni zampina, e in breve tempo non riuscì più a camminare”.
(Storia Zen)
La storiella del millepiedi insegna che alcune nostre reazioni e capacità sono spontanee e automatiche e il tentativo di provocarle in modo volontario (o di inibirle) spesso si rivela fallimentare. Al contrario, conduce all’esito opposto a quello sperato: pensate ad esempio al risultato che si ottiene quando si viene invitati ad assumere volontariamente un’espressione “spontanea” mentre ci si mette in posa per una fotografia!
La strategia più comune che adotta chi soffre di ansia da prestazione o sperimenta un blocco della performance è proprio quella di mantenere e rafforzare il controllo sulla propria mente e sul proprio corpo, nel tentativo di costringerli a rispondere nella direzione delle proprie aspettative, finendo, come il millepiedi del racconto, con il perdere completamente il controllo.
Di fronte a una difficoltà, c’è chi tenta di mettersi alla prova, affrontando la situazione temuta nel tentativo di dimostrare a se stessi di farcela nonostante la forte ansia che si avverte: il risultato è che la mente “va nel pallone”, il corpo non risponde e la prestazione ne risente, fino ad arrivare a sperimentare veri e propri attacchi di panico.
È così che si inizia ad evitare la situazione temuta, oppure si tende a procrastinare, rimandando il confronto al momento in cui si avrà la sensazione di avere “tutto sotto controllo”, a quando ci si sentirà finalmente pronti e preparati, ma la sensazione di non essere capaci e la paura di non farcela non fanno che aumentare e il “momento giusto” non arriva mai.
Talvolta poi, nel tentativo di trovare una soluzione, vengono coinvolte anche le persone vicine: si parla della propria ansia con i familiari o con gli amici, finendo così per amplificarla, o si chiedono loro rassicurazioni che altro non fanno che confermare la propria incapacità di gestire la situazione.
Questi tentativi di soluzione del problema, seppur messi in atto in buona fede, fanno sì che da una difficoltà iniziale si costruisca un problema che appare senza soluzione. È così che studenti brillanti interrompono l’università o ripiegano su facoltà meno impegnative ma meno gratificanti, che non corrispondono ai propri interessi, che professionisti capaci rinunciano a un ruolo di responsabilità, che nella vita di coppia si rinuncia all’intimità.
Si tratta di strategie spesso controintuitive e paradossali, che la persona impara ad utilizzare eseguendo dei “compiti” tra una seduta e la successiva: il lavoro non consiste quindi nella ricerca delle cause del problema, bensì si agisce fin da subito sui meccanismi che ne determinano la persistenza, consentendo alla persona di vivere fin dalle prime sedute esperienze concrete di cambiamento.
Una prescrizione molto utilizzata quando ci si trova di fronte a un blocco della performance è ad esempio la tecnica del “come peggiorare”: la persona viene invitata a riflettere su cosa potrebbe fare o pensare se volesse volontariamente peggiorare il proprio problema.
Si tratta di una tecnica che sfrutta una logica paradossale, basata sullo stratagemma “se vuoi imparare a drizzare una cosa impara prima come storcerla di più”. Infatti, quando la persona la applica spesso si rende conto di cosa sta già facendo che non funziona o di cosa non potrebbe funzionare ed è così portata a bloccare o a limitare l’utilizzo di queste strategie fallimentari.
L’esercizio aiuta quindi a prendere consapevolezza dei comportamenti e dei pensieri controproducenti e a provocare un’immediata avversione verso gli stessi. La persona quindi rinuncerà a metterli in atto. Molto spesso inoltre, l’adozione di un punto di vista diverso aiuta la mente a considerare soluzioni alternative a quelle messe in atto fino a quel momento, identificando le strategie per migliorare. In altre parole, chiedersi come fare a stare peggio aiuta a stare meglio!
Un’altra tecnica che utilizza l’approccio strategico è quella della “peggiore fantasia”, che ho descritto in un articolo sugli attacchi di panico e che aiuta la persona a gestire l’ansia. La tecnica permette di toccare con mano l’importanza di lasciare andare il controllo per riuscire a mantenerlo, anche nelle situazioni in cui la paura di fallire e il blocco si manifestano.
Uno stratagemma utilissimo nell’ansia che deriva dalle situazioni in cui è necessario parlare in pubblico o in alcune problematiche di natura sessuale consiste nel “dichiarare il perturbante segreto”, che rappresenta anche un esempio di come un limite possa essere trasformato in una risorsa.
Immaginate di dover tenere un discorso di fronte a un pubblico e di sentirvi in ansia al solo pensiero. Una volta arrivati di fronte alla platea, potreste valutare l’intensità della vostra ansia e, se supera un certo limite, decidere di dichiararla in anticipo al pubblico.
La formula potrebbe essere simile a questa: “cari colleghi, scusatemi in anticipo se durante questa mia presentazione potrà capitare che io arrossisca, cominci a sudare o perda il filo del discorso, perché sapete, ultimamente non mi sento molto bene.”(Nardone, 2000).
Allo stesso modo, la persona che lamenta una difficoltà di erezione, quando sta per avere un rapporto sessuale, potrebbe verificare tra sé e sé quanta paura ha in quel momento. Se la paura va oltre un certo limite, dovrà ‘dichiarare il perturbante segreto’, ossia dovrà dire alla sua partner che a causa di un suo problema lei è impotente e non potrà effettuare la penetrazione. (Nardone, Rampin, 2015).
Questa tecnica sfrutta il principio della distrazione, ovvero sposta l’attenzione della persona dalla prestazione alla possibilità di ammettere la propria difficoltà, pertanto la persona smette di controllarsi nel tentativo di nascondere il proprio problema e la prestazione viene così portata a termine senza difficoltà.
Inoltre, a livello relazionale, dichiarare le proprie fragilità suscita empatia e benevolenza in coloro che si hanno di fronte, sia che si tratti di un pubblico che di un partner, che tenderanno pertanto a metterci a nostro agio: è così che una debolezza si trasforma in un punto di forza.
Spesso tuttavia non si arriva nemmeno a dover dichiarare la propria difficoltà: il solo pensiero di poterlo fare, senza tentare di nasconderla in ogni modo, fa sentire più tranquilli.
L’approccio strategico si avvale di un protocollo e di strategie specifiche per intervenire sull’ansia da prestazione. Ciò non significa che l’intervento psicologico e le tecniche utilizzate siano identici per ogni persona. L’intervento, infatti, viene sempre calzato sulle peculiarità e le esigenze del singolo individuo e della situazione problematica.
Le tecniche descritte in questo articolo sono solo alcune fra quelle disponibili per il trattamento dell’ansia da prestazione e del blocco della performance e danno un’idea di come l’intervento sia focalizzato sul presente, sul problema contingente e abbia come obiettivo la sua risoluzione in tempi brevi.
L’aproccio strategico risulta efficace anche quando il problema è presente da molto tempo, tuttavia è meglio intervenire con tempestività su queste difficoltà, dopo i primi episodi in cui si manifestano, poiché se trascurate, nel tempo, possono compromettere profondamente la vita scolastica, professionale e relazionale di chi le sperimenta, determinando scelte e rinunce che non di rado sono fonte di insoddisfazione e di rimpianti.