L’“Animal Hoarding”, in italiano “Accumulo di Animali”, è un fenomeno poco noto nel nostro Paese e probabilmente sommerso. È una patologia difficile da riconoscere, spesso confusa con un atteggiamento di eccessivo amore per gli animali. Si tratta però di un amore malato, che cela una grande sofferenza, sia per l’essere umano, sia per gli animali.
L’intervento più efficace in questi casi deve essere multidisciplinare e prevedere un’integrazione tra i diversi servizi coinvolti. A tale scopo, risulta fondamentale un’adeguata formazione sulle caratteristiche di questo fenomeno, rivolta alle diverse figure professionali coinvolte nella gestione dei casi- medici veterinari, tecnici dei servizi di igiene, operatori di canili e rifugi per animali, assistenti sociali, psicologi e psichiatri. La persona che accumula animali può inoltre beneficiare di un intervento psicologico, calzato ad hoc sulla situazione specifica.
Sulla rivista “Mind”, nel numero di settembre 2020, è disponibile un’intervista a più voci, alla quale ho partecipato con la collega prof.ssa Emanuela Prato Previde, sulla cosiddetta “Sindrome di Noè”.
Se qualcuno vi raccontasse di vivere con una decina di gatti, alcuni cani e qualche criceto, lo considerereste probabilmente un tipo eccentrico. Pensereste che sia un grande amante degli animali e che abbia scelto uno stile di vita fuori dal comune.
Se non avete mai sentito parlare di Animal Hoarding o Disturbo da Accumulo di Animali, probabilmente il pensiero che possa soffrire di un serio problema psicologico non vi sfiorerebbe nemmeno.
Talvolta però si verificano casi eclatanti, che attirano l’attenzione dei media, e rendono pubbliche le condizioni di estrema sofferenza che spesso la scelta di questo “stile di vita” comporta. Purtroppo però, la cronaca diffonde spesso un’immagine distorta dell’accumulatore di animali, presentandolo di volta in volta come un benefattore incompreso o, al contrario, come un aguzzino.
Viene generalmente prestata poca attenzione al fatto che l’accumulatore e i suoi animali condividono spesso le medesime condizioni di disagio, che fanno dell’Animal Hoarding una patologia a tutti gli effetti. Dal canto suo, chi accumula mostra raramente di avere consapevolezza del problema, giungendo talvolta a distorsioni della realtà tali da risultare deliranti.
La persona che accumula animali accoglie nella propria abitazione (più raramente in strutture esterne) un gran numero di animali, per lo più cani o gatti, ma si possono trovare anche animali non convenzionali.
Non è però solo la quantità di animali a definire il comportamento di accumulo. L’aspetto fondamentale riguarda infatti l’incapacità della persona di garantire loro le cure adeguate in termini di nutrizione, disponibilità di spazi adeguati, assistenza veterinaria e rispetto delle caratteristiche etologiche delle specie coinvolte.
In altre parole, è difficile stabilire un numero di animali oltre il quale poter parlare con certezza di una situazione di accumulo: i casi in letteratura variano da una decina a diverse centinaia! Possiamo però individuare 5 criteri principali che ci aiutano a definire il problema:
Spesso, le situazioni di accumulo divengono note solo quando raggiungono proporzioni estreme, segnalate da vicini di casa esasperati per la sporcizia e i cattivi odori, o preoccupati per le condizioni degli animali.
Le ricerche, condotte soprattutto degli USA, evidenziano come il disturbo sembri colpire in misura maggiore le donne, le persone sole e quelle di età superiore ai 60 anni.
Si osservano in particolare due profili principali che definiscono le persone che accumulano animali:
Fino a pochi anni fa veniva descritto anche un terzo profilo, quello dell’exploiter hoarder o “sfruttatore”, che accumula gli animali per trarne un profitto.
Tuttavia, alcuni ricercatori hanno proposto di considerare questo comportamento alla stregua di altre condotte criminali. Manca infatti l’attaccamento emotivo agli animali, che caratterizza l’accumulatore, e si osserva un’assoluta mancanza di empatia, tipica delle personalità antisociali.
A partire dal 1997, negli USA, l’Hoarding of Animal Research Consortium (HARC) ha costituito un gruppo di ricerca multidisciplinare, formato da psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, assistenti sociali e veterinari, con l’obiettivo di studiare il comportamento di accumulo di animali al fine di comprenderne la natura.
Queste ricerche hanno portato a riconoscere questo fenemono come una vera e propria psicopatologia. Nel DSM-5 si parla di una variante del Disturbo da Accumulo (Hoarding Disorder), nello spettro dei disturbi ossessivo-compulsivi.
Questa classificazione suscita però qualche perplessità tra i clinici e gli studiosi. Il Disturbo da Accumulo viene infatti definito dalla tendenza ad accumulare oggetti che l’individuo fatica a “gettare via” anche se “inutili e senza valore”; è difficile utilizzare queste categorie nell’Accumulo di Animali, che coinvolge esseri senzienti ed evidenzia innanzitutto una compromissione dell’empatia e delle competenze di cura.
Al di là delle classificazioni, sebbene l’accumulo di animali sia attualmente riconosciuto come una patologia, la sua prevalenza non è chiara ed è probabilmente un fenomeno sommerso.
Paradossalmente, l’Accumulo di Animali è più conosciuto dalle associazioni nell’ambito della protezione animali, dai veterinari del servizio pubblico e dagli operatori dei servizi di igiene, piuttosto che dai professionisti dell’ambito psico-sociale.
Questo avviene perché le situazioni di accumulo di animali rappresentano innanzitutto un’emergenza relativa al rischio igienico-sanitario che comportano e alla sofferenza degli animali. Raramente chi accumula animali chiede aiuto e, quando l’intervento si rende necessario, si evidenziano spesso gli estremi per un reato di maltrattamento.
Spesso quindi l’approccio è del tipo “via gli animali, via il problema” e si esaurisce nel sequestro degli animali e nella bonifica dell’abitazione, riservando all’accumulatore una denuncia, lecita ma non risolutiva. Il coinvolgimento dei professionisti della salute mentale e dei servizi sociali è raro, e ancor più rare sono le prese in carico a lungo termine della persona che accumula animali.
Non stupisce quindi che le statistiche stimino una percentuale di recidivismo pari al 100%. Vale a dire che la persona riprende pian piano a introdurre animali nella propria casa, tornando in un breve periodo a una situazione paragonabile a quella immediatamente precedente al sequestro, che rende necessario un nuovo intervento.
Si tratta di situazioni apparentemente poco frequenti, ma dai costi ingenti per la comunità, dovuti agli interventi di disinfestazione e pulizia del luogo in cui erano detenuti gli animali, alle cure veterinarie e ai costi di mantenimento dei moltissimi animali posti sotto sequestro, a carico del comune di appartenenza.
Sì. L’approccio ideale richiederebbe un intervento coordinato e congiunto, che veda l’integrazione tra servizi per l’igiene e la sicurezza dell’abitato, veterinari, centri psicosociali e assistenti sociali. In questo modo l’accumulatore potrebbe essere aiutato a superare il proprio disagio.
Inoltre, sebbene l’accumulo di animali sia traversale a tutte le fasce demografiche e socio-economiche, sarebbe utile poter offrire un accesso gratuito a questi servizi. Infatti, nel momento in cui queste situazioni vengono alla luce, spesso anche gli accumulatori più benestanti hanno esaurito le proprie risorse economiche nel tentativo di accudire gli animali; affrontare i costi di un professionista privato può quindi risultare difficile.
La mia esperienza nell’ambito dell’Animal Hoarding riguarda innanzitutto la formazione. Organizzo per tutti gli operatori coinvolti nella gestione dei casi di accumulo – tecnici della prevenzione, medici veterinari, assistenti sociali, psicologi, medici di base, guardie zoofile – seminari di approfondimento sul tema dell’accumulo di animali, sulle modalità di comunicazione e relazione con l’accumulatore e sulle possibilità di gestione di un caso di accumulo. È possibile contattarmi per organizzare corsi sul Disturbo da Accumulo di Animali, sia on line che presso la propria sede.
Per quanto riguarda l’intervento psicologico di supporto alla persona che presenta un problema di Animal Hoarding, gli studi disponibili non sono sufficienti a individuare delle linee guida utili a definire un approccio standard.
Sebbene siano state osservate delle caratteristiche comuni, ogni caso sembra essere a sé, con caratteristiche peculiari. Possono inoltre essere presenti altre forme di disagio psicologico in comorbidità con l’Accumulo di Animali.
L’intervento che propongo è quindi ritagliato su misura, sulla base delle caratteristiche della persona in difficoltà e può prevedere il coinvolgimento dei familiari.