Mi sono trovata inevitabilmente a dover affrontare ciò che mi spaventava, spinta dalla paura più grande in assoluto: morire. Il panico iniziale si è così poco a poco trasformato in coraggio e ho scoperto in me un’anima di acciaio, nonostante dall’esterno, per la mia costituzione resa ancora più esile dalle terapie, possa sembrare fragile come il vetro.
La tecnica della “peggiore fantasia” mi ha accompagnato ogni qualvolta mi sono dovuta sottoporre a esami invasivi o a interventi chirurgici ed è diventata imprescindibile per riuscire a sottopormi alle risonanze magnetiche previste dal percorso di cura, che in passato avrebbero scatenato una
claustrofobia incontrollabile. “Soffre di claustrofobia?”, mi chiede il medico. “Sì”, rispondo. “E come fa a sottoporsi all’esame?”. “Ce la faccio. Ho una tecnica infallibile”. E tutto è andato bene… non fosse per il rumore, mi sarei addormentata!
Il potere della mente
“Cosa potrei fare o non fare, pensare o non pensare, se volessi volontariamente peggiorare questa situazione anziché migliorarla?” – questa la domanda che più volte mi sono posta durante i mesi di terapia. E così mi sono resa conto che sarebbe stato ancora peggio se avessi ceduto alla stanchezza e all’apatia, chiudendomi in me stessa e abbandonando i miei interessi.
Complici le restrizioni dovute alla pandemia in corso, in cui ho colto l’opportunità di vivere in spazi e tempi consoni al mio stato di salute, ho continuato a lavorare, a vedere le persone care e a studiare, seppur da remoto. Mi sono inoltre impegnata in passeggiate più o meno lunghe con il mio cane, compatibilmente con ciò che il mio corpo mi concedeva.
Immaginando cosa avrei fatto “come se” fossi stata bene, come se il mio aspetto non fosse stato modificato da un intervento che ha cambiato profondamente la mia immagine corporea, durante l’estate mi sono scoperta a fare cose che non avrei più creduto possibili: dalla cena al ristorante al bagno nel mare, sotto gli occhi piacevolmente stupiti di chi mi stava accanto e che talvolta ha dovuto frenare una mia certa dose di incoscienza.
Il percorso di cura ha visto l’avvicendarsi di tante persone tra chirurghi, oncologi, radioterapisti, infermieri e operatori socio-sanitari, ognuno con la propria attitudine, e non con tutti si è creata una buona sintonia: in alcuni momenti, avrei avuto tutto il diritto di lamentarmi e, perché no?, di compiangermi per una realtà tanto ingiusta.
Tuttavia, Milton Erickson insegna che “in un giardino puoi guardare i fiori, o puoi guardare le erbacce” e io scelto di concentrarmi sui fiori, quei professionisti che con passione e dedizione si sono presi cura di me in questo lungo anno, non facendomi mai mancare il loro supporto.
E adesso?
Mentre scrivo questa pagina, ho da poco superato l’ultimo intervento chirurgico previsto dal piano terapeutico ed entro nei piani di follow-up. Sento di aver vinto una battaglia, ma non so se la guerra è finita. “Bando alle illusioni: il figlio di cane ritorna sempre”: questo il monito che dava a se stessa Oriana Fallaci, moderna Cassandra, profetizzando la recidiva del cancro che l’aveva colpita.
Io non so cosa accadrà in futuro, come non potevo immaginare che mi sarei ammalata. Ma del resto nessuno lo sa. Una volta abbandonati gli autoinganni che mi difendevano dall’incertezza e dall’imprevedibilità insite nella vita stessa, di fronte alla consapevolezza della mia vulnerabilità e nel dubbio angosciante che la malattia possa ripresentarsi, non posso che fare mia l’illusione di alternative proposta dalle autrici del libro “La terapia psicologica in oncologia” (Campolmi, Prendi, 2019) a chi, come me, ha visto passare la morte accanto:
“vivere mediocremente pensando a ciò che potrebbe accadere forse un giorno (se mai accadrà), oppure accettare questi pensieri, in nome di ciò che si è vissuto, continuando a costruire un equilibrio che sia il migliore possibile (…). Sicuramente spaventa pensare che possa essere solo un’illusione e che, prima o poi, potrebbe essere necessario fare i conti di nuovo con il male… ma l’alternativa è comportarsi come se questo male fosse già presente, non vivendo la seconda possibilità che si ha di ripartire!”.
Io scelgo di ripartire, consapevole di aver rafforzato in questo percorso di vita la risorsa più preziosa per affrontare le difficoltà: la resilienza.”
Cancro e psiche: alcune strategie per stare meglio
Nel paragrafo precedente sono evidenziate alcune tecniche tipiche dell’approccio breve strategico che possono essere utilizzate nel percorso di supporto per preservare il benessere psicologico di chi combatte contro il cancro e favorirne la resilienza.
- La tecnica del “come peggiorare”: è una tecnica di problem solving paradossale, che aiuta a evidenziare i pensieri o i comportamenti che, messi in pratica, aggravano ulteriormente la situazione o la percezione della stessa. Si sviluppa così una forte avversione verso gli atteggiamenti disfunzionali, che vengono sostituiti da altri più adeguati. Di fronte alla diagnosi di cancro ci si sente spesso impotenti e si può pensare che niente sarà più come prima. Spesso, tuttavia, il nostro potere di agire sulle circostanze per renderle più o meno sopportabili è maggiore di quanto pensiamo.
- Le tecniche di scrittura: la scrittura è un mezzo estremamente efficace, che aiuta ad esternalizzare e far defluire le emozioni, nonché ad elaborarle e viverle gradualmente con maggiore distacco. Scrivendo è possibile canalizzare la rabbia, il dolore e l’angoscia, ritrovando uno sensazione di calma e leggerezza.
- La “peggiore fantasia”: si tratta di una tecnica molto utile per superare le fobie, che ho già descritto in altri articoli di questo blog. Durante le cure oncologiche può essere utile per affrontare esami o procedure che generano ansia e paura.
- La tecnica del “come se”: consiste nel comportarsi, a partire da piccole cose quotidiane, “come se” il problema non ci fosse o come se la propria percezione della realtà fosse diversa da come viene esperita. Introducendo ogni giorno piccoli cambiamenti nelle proprie azioni, si arriva gradualmente ad una diversa e più funzionale percezione della realtà. “Che cosa farei oggi di diverso se non m vergognassi di aver perso i capelli?” – potrebbe chiedersi un paziente sottoposto a chemioterapia: magari uscirebbe di casa più volentieri, incontrerebbe degli amici, si vestirebbe in maniera più curata. Perché non provare a mettere in pratica una di queste cose? Spesso, i limiti più grandi risiedono nella nostra mente.
Serve aiuto?
È possibile provare a sperimentare in autonomia alcune delle tecniche sopra descritte, dopo averle adeguatamente approfondite in uno dei numerosi libri di psicoterapia breve strategica in cui sono descritte.
Tuttavia, in un percorso spesso lungo e impegnativo come quello che segue a una diagnosi di cancro, il supporto e il conforto derivano non solo dalle tecniche ma anche e soprattutto dal dialogo. Per questo motivo, consiglio di rivolgersi a uno psicoterapeuta.
Si tratta infatti del professionista più indicato per occuparsi del benessere della propria mente durante le cure oncologiche, in grado di offrire un adeguato supporto e di guidare di volta in volta la persona nell’utilizzo delle strategie più appropriate per affrontare le diverse situazioni ed emozioni che incontrerà nel corso delle sue battaglie.
Fonti bibliografiche
Benedetti F. (2018). La speranza è un farmaco. Mondadori
Colombo E.S. (2020). “Soffrire, morire, fallire: paure ataviche e attuali. Esperienze di Psicoterapia Breve Strategica”. Tesi di specializzazione in Terapia Breve Strategica.