L'APPROCCIO STRATEGICO
Non puoi tornare indietro e cambiare l’inizio, ma puoi iniziare dove sei e cambiare il finale.
(C.S. Lewis)
L’intervento strategico è usualmente breve, pone il focus sul presente e sul funzionamento del problema presentato dalla persona ed è orientato alla soluzione. Di matrice costruttivista, l’approccio strategico preferisce ai concetti di “normalità” e “patologia” quelli di “funzionalità” e “disfunzionalità”, in riferimento alla relazione che l'individuo ha con se stesso, con gli altri e con il mondo.
Lo psicologo si avvale di una “strategia”, ovvero di un piano d’azione orientato a cambiare la realtà della persona attraverso una chiara definizione del problema, l’analisi delle soluzioni tentate, la definizione del cambiamento concreto da raggiungere, l’utilizzo di sofisticate tecniche di comunicazione e di dialogo e il suggerimento di “compiti” da eseguire tra una seduta e l’altra, atti a provocare il cambiamento.
L’approccio strategico: differenze rispetto agli approcci tradizionali
“Troppo spesso l’intervento psicologico è visto come un intervento archeologico. Cercare e trovare i reperti del passato può servire a darsi una spiegazione apparentemente confortante, ma a sua volta non funzionale, perché conoscere non significa affatto automaticamente cambiare.”
(Muriana, Verbitz, 2017)
Generalmente si è portati a pensare che l’intervento psicologico implichi percorsi lunghi, che comportano notevoli costi economici ed emotivi per la persona, la quale dovrà necessariamente esplorare con un estraneo i meandri più intimi e privati della propria vita interiore. Se questo può essere vero per alcuni dei moltissimi approcci esistenti, l’approccio strategico non prevede un percorso volto a portare alla consapevolezza le motivazioni inconsce alla base dell’agire, né un processo di liberazione da presunte esperienze traumatizzanti o da conflitti portati lentamente alla coscienza dell’individuo.
L’intervento strategico mira invece alla risoluzione dei problemi nel presente e al raggiungimento di obiettivi concreti concordati con il paziente. La differenza fondamentale rispetto agli approcci tradizionali riguarda il fatto che l’approccio strategico non va alla ricerca dell'origine dei problemi nel passato, poiché questa è considerata difficile da individuare in maniera oggettiva e, in ogni caso, non suscettibile di alcuna possibilità di intervento.
In altri termini, per cambiare una situazione problematica, non si ritiene necessario indagare e svelare le cause passate, né sondare l’inconscio del paziente in un percorso lungo e sofferto, bensì risulta più utile lavorare sul modo in cui il problema funziona nel presente e sulle strategie più adatte per creare un cambiamento efficace e duraturo.
E quando è il passato a costituire il problema?
“Il passato è passato, e su questo non possiamo intervenire; l’unica possibilità operativa è lavorare sul presente per archiviare il passato e costruire un nuovo modo di interpretare la realtà, che sia funzionale al benessere e all’equilibrio.”
(Muriana, Verbitz, 2017)
Quando la sofferenza deriva da qualcosa che è accaduto in passato, come può accadere nel caso di un evento traumatico, di un lutto non elaborato o quando non si riesce a smettere di rimuginare su un torto subito o su un'occasione perduta, l'intervento strategico è di grande aiuto per elaborare le esperienze che tengono la persona ancorata al passato, aiutandola ad andare oltre per vivere appieno la sua vita attuale e porre le basi per un futuro libero da rimorsi, rimpianti e sensi di colpa.
L’approccio strategico: alcuni concetti fondamentali
L’approccio strategico ai problemi umani è focalizzato sul qui ed ora, sull’attenta analisi della situazione attuale e sui processi coscienti. In contrapposizione agli approcci incentrati sull’esigenza di aumentare la consapevolezza circa le cause dei problemi, l’approccio strategico considera l’azione, l’esperienza, come principale motore di cambiamento e si propone di provocarlo sostituendo le modalità disfunzionali di comportamento e di pensiero con modalità più funzionali.
A questo scopo si valutano sia la sofferenza che le risorse della persona. Le risorse sono quelle capacità che fanno parte del repertorio comportamentale degli esseri umani, utili per esempio ad affrontare le diverse fasi del proprio ciclo di vita, a relazionarsi con gli altri, a trovare un equilibrio tra i propri desideri e quelli altrui, ad apprendere e ad adottare strategie creative di interazione con l’ambiente fisico e sociale, così da potersi adattare ad esso o modificarlo, senza subirlo in modo passivo. La persona soffre, o fa soffrire gli altri, quando non può disporre delle proprie risorse, perciò, ad esempio, non è in grado di fare ciò che vorrebbe o non può inibire comportamenti indesiderati.
Quando la persona fatica ad accedere autonomamente alle proprie risorse e vive una condizione di sofferenza si rende utile un intervento psicologico (Nardone, Rampin, 2015).
Un concetto chiave dell'approccio strategico è quello di "esperienza emozionale correttiva", espressione introdotta nel 1946 da F. Alexander per indicare quelle esperienze emotive concrete che permettono alle persone di cambiare la propria percezione di una situazione e di modificare il proprio comportamento fino alla risoluzione del problema. L'evidenza insegna infatti che consapevolezza intellettuale di per sé non è sufficiente a produrre un cambiamento, che può essere ottenuto solo tramite esperienze reali (quante volte siamo coscienti di avere un problema, magari ne individuiamo correttamente l'origine o la causa, ma non riusciamo a superarlo?).
L'approccio strategico utilizza quindi il dialogo, le tecniche di comunicazione, l'analisi delle tentate soluzioni e le prescrizioni tra una seduta e l'altra per far sì che la persona viva questo tipo di esperienze, sia nella relazione con lo psicologo che nella vita quotidiana.
STRUMENTI OPERATIVI NELL'APPROCCIO STRATEGICO
L’analisi delle tentate soluzioni
“La realtà non è ciò che ci accade ma ciò che facciamo con ciò che ci accade.”
(A. Huxley)
L’approccio strategico considera le difficoltà, i problemi e le situazioni che determinano un disagio psicologico come il risultato di una modalità disfunzionale di percepire la realtà e di reagire ad essa. La persistenza di un problema e la difficoltà a modificare una situazione dipendono innanzitutto da quei tentativi di soluzione (comportamenti, pensieri, stili relazionali) che la persona mette in atto razionalmente e con buon senso, anche quando si rivelano inefficaci.
La persona è convinta che proprio queste “tentate soluzioni” siano le migliori, di solito in virtù del fatto che hanno funzionato in passato per risolvere un problema simile o perché rappresentano un insieme consolidato di comportamenti appresi nel corso della propria vita. Accade però che comportamenti che si sono rivelati utili in passato non siano adatti a risolvere un problema nuovo nel presente o che la persona abbia modalità rigide di percezione e reazione di fronte agli eventi, che contribuiscono a costruire e ad alimentare i problemi.
Sulla base dell’approccio strategico, l’intervento psicologico, dopo un’accurata definizione delle caratteristiche del problema, parte proprio dall’analisi delle tentate soluzioni messe in atto dalla persona, individuando le diverse modalità con cui ha cercato di superare la difficoltà. Si individuano quindi i comportamenti, i pensieri e le emozioni che mantengono il problema e che producono uno stato di disagio o sofferenza o che interferiscono con la realizzazione degli obiettivi. Questi diventano il punto di partenza per costruire nuove strategie per affrontare e risolvere le situazioni problematiche nella maniera più rapida ed efficace.
La comunicazione, il dialogo e le prescrizioni di comportamento
Il colloquio, nella forma di “dialogo strategico”, è uno strumento fondamentale dell’approccio strategico e si concentra principalmente sul presente e sul modo in cui funziona un problema, piuttosto che sul “perché” esiste, definendo di volta in volta le strategie e le soluzioni più idonee al raggiungimento degli obiettivi preposti. Attraverso sofisticate tecniche di comunicazione, la persona può sperimentare fin dai primi colloqui un nuovo modo di vedere la propria realtà, che predispone il verificarsi del cambiamento.
L’approccio strategico considera inoltre fondamentale che l’individuo viva in prima persona nuove esperienze concrete che gli consentano di sperimentare sensazioni ed emozioni diverse rispetto alla situazione in cui si trova e di adottare nuovi punti di vista, così da poter acquisire modalità diverse, più flessibili e funzionali, di percepire e di reagire alla realtà: per questo motivo vengono suggeriti “compiti” da eseguire e strategie da applicare tra una seduta e l’altra per scardinare i fattori alla base della persistenza del problema.
Le prescrizioni del professionista rendono quindi la persona protagonista del proprio cambiamento, aiutandola a trasferire nella vita quotidiana gli effetti del colloquio clinico e portandola a modificare il proprio modo di percepire la situazione di disagio e le sue reazioni, così da condurla al superamento del problema.
Il risultato finale è rappresentato dall’acquisizione di autonomia e dal recupero delle proprie risorse e capacità personali.
L’APPROCCIO STRATEGICO: ORIGINE E CONTRIBUTI PRINCIPALI
Le radici costruttiviste dell’approccio strategico
“Tutto ciò che è percepito esiste” (G. Berkeley)
L’approccio strategico parte dal presupposto in base al quale l’essere umano giunge a conoscere la realtà attraverso le proprie percezioni, le peculiari reazioni emotive di fronte agli eventi, il linguaggio che utilizza per comunicare, i comportamenti e le reazioni usuali che caratterizzano la relazione con se stesso, con gli altri e con il mondo.
Ciò che per un individuo costituisce la realtà è quindi in gran parte una sua costruzione: in base a questa, ognuno di noi agisce concretamente in modo tale da confermare la propria percezione del mondo, che andrà così via via consolidandosi. Non esiste una realtà oggettiva, esistono tante verità soggettive e in base a queste cambia la percezione delle cose, degli eventi, delle situazioni e delle relazioni.
Tale presupposto, noto come “costruttivismo radicale” (E. von Glasersfeld, H. von Foerster) porta a considerare le problematiche cliniche come il prodotto di una modalità disfunzionale di percepire la realtà e di reagire ad essa. In quest’ottica lo psicologo di approccio strategico non cerca di imporre una realtà alla persona che ha di fronte, bensì ritiene fondamentale capire quale percezione ha la persona del suo problema e qual è la sua rappresentazione del mondo.
L’approccio strategico: i contributi principali
Oltre alla matrice costruttivista, l’approccio strategico vede in Milton Erickson, psichiatra e psicologo statunitense, un suo precursore, soprattutto rispetto all’attenzione posta alla comunicazione e alla relazione con il paziente, all’interesse per il sistema di relazioni entro cui il paziente è inserito e all’utilizzo di prescrizioni comportamentali dirette. Questi concetti vengono ripresi e sistematizzati negli anni settanta nel lavoro di ricerca condotto da Bateson, Jackson, Weakland, Haley, Watzlawick e Fisch, presso il Mental Research Institute di Palo Alto, in California.
Tra i principali esponenti della tradizione sistemica, a questi studiosi si devono i più importanti studi sulla comunicazione umana e il merito di aver spostato il focus della ricerca e dell’intervento psicologico dai processi intrapsichici al contesto di interazione e di relazione della persona.
Qualsiasi condizione è considerata il risultato dell’interazione costante tra la persona e la realtà che lo circonda, che può essere funzionale o disfunzionale a seconda del momento e relativamente all’ambiente di vita in cui la persona è inserita. Diventa disfunzionale quando è fonte di sofferenza e difficoltà.
A partire da queste basi nasce e si sviluppa l’approccio strategico, un modello di intervento psicologico rivoluzionario, volto alla soluzione dei problemi umani in tempi brevi. In Italia, il modello viene poi ulteriormente sviluppato da Nardone e Watzlawick presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, dove tuttora vengono elaborate tecniche di intervento sempre più evolute, organizzate in protocolli d’intervento pensati ad hoc per i diversi problemi (es. fobie, attacchi di panico, disturbi del comportamento alimentare…).